La politica internazionale sembra un’altra volta entrare all’interno della kermesse canora più famosa d’Europa, Eurovision.

Dopo l’occhiolino ai diritti e alla visibilità delle persone LGBT grazie a Conchita Wurst nel 2014 questa volta la connessione ai temi di attualità arriva grazie alla selezione del prossimo interprete che rappresenterà l’Ucraina alla prossima edizione di Eurovision che si terrà a Stoccolma, in Svezia, dal 10 al 14 maggio.

Eurovision 2016 - Jamala

© Reuters/V. Ogirenko

Il pubblico ucraino ha infatti votato in rappresentanza del paese (Jamala) cantante originaria della Crimea e di origine tatara che si esibirà con la canzone 1944.

La scelta non è passata del tutto inosservata a Mosca, poiché sia le origini della cantante (la minoranza tatara in Crimea dopo l’annessione a Mosca ha denunciato repressione. Questa etnia è di origine turcica e in maggioranza di fede musulmana) sia il testo della canzone (nel testo si parla esplicitamente della deportazione di massa dei tatari durante il governo di Stalin verso l’Asia minore poiché accusati di collaborazione con le forze naziste) sembrano essere riferimenti più o meno espliciti alla crisi internazionale ancora in atto tra i due paesi.

Sia la cantante che Mustafa Jamilev, rappresentante della comunità tatare della Crimea, hanno però subito sottolineato che il testo non fa riferimenti espliciti alla situazioni attuale nella regione ma ha l’obiettivo di ricordare l’abuso di forza e la violazione dei diritti umani verso un’etnia ancora oggi esistente in Europa, fatti che ancora oggi sembrano essere dimenticati dalla politica e dalle istituzioni.

Forse non tutti sanno che il regolamento di Eurovision proprio per permettere il mantenimento del messaggio di Eurovision di pace e solidarietà tra i vari paesi partecipanti proibisce la partecipazione di testi con un contenuto politico esplicito.

Per questa motivazione nel 2009 i concorrenti georgiani furono squalificati poiché nel loro testo c’erano contenuti espliciti contro il governo del leader russo Vladimir Putin, ma ancora prima, nel 2005 un altro caso fece scalpore sempre con l’Ucraina protagonista, quello che riguarda i Greenjolly, gruppo che fece una canzone a favore della rivoluzione a Kiev che proprio quell’anno ospitava il festival e che vide il loro testo censurato in parte da parte dell’organizzazione.

La Russia di stampo putiniana non è comunque nuova a critiche durante Eurovision.

Nel maggio 2014 le gemelle russe Tolmachevy vennero fischiate durante la loro proclamazione alla fase finale della kermesse a Copenaghen mentre pochi minuti dopo la concorrente ucraina Mariya Yaremchuk venne applaudita unanimemente e calorosamente dal pubblico.

Per evitare questo fenomeno del 2015 l’organizzazione decise di installare una speciale tecnologia anti-fischi che però non frenò la contestazione verso la concorrente russa Polina Gagarina (arrivata poi seconda con A Million Voices) che fu “disturbata” durante le varie esecuzioni da un vero e proprio alzarsi in contemporanea di bandiere arcobaleno “simbolo del movimento LGBT” che sventolavano unanimemente contro le leggi di stampo omofobo approvate nella Russia di Putin.

È sempre più inevitabile che in un’Europa sempre più unita politicamente e socialmente grazie anche ai social network e alla maggiore mobilità interna del paese aumenti anche lo spirito critico dei cittadini e quindi anche di buona parte dei cantanti e degli spettatori e spettatrici di Eurovision, noti da sempre per avere una posizione schierata a favore della comunità LGBT e a favore in generale dei diritti umani.

La stessa organizzazione di Eurovision sembra gradualmente capirlo cercando di cambiare il festival con il cambiare del continente della politica interna.

Proibire la libertà di pensiero e nascondere le tensioni politiche tra i paesi può essere una tecnica per preservare il buon svolgimento dello show della kermesse, ma probabilmente restituisce all’esterno un’immagine troppo patinata e non reale di quella che è in realtà l’Europa.

Sembra che a prova di questo ragionamento ci sia la decisione degli organizzatori di non adottare il sistema “anti-fischi” utilizzata l’anno scorso durante la finale di Vienna.

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